Arrivi da solo. Non sai ancora bene perché hai scelto di fare le tue vacanze da solo. Perché hai scelto quella che, tutto sommato, non è la vacanza più comoda che c’è. In barca. E con gente che non conosci. Una decina di sconosciuti che arrivano da ogni parte d’Italia. Ognuno con il suo bagaglio di vita, di esperienze, di sogni, di delusioni. E di aspettative. Non sai neanche con chi dividerai la cabina. Uno spazio angusto in cui dovrai far entrare le tue (poche, come vuole la barca…) cose. Ma in cui, inevitabilmente, ti scontrerai con le esigenze di un’altra persona. E più che un incastro di cose, lo scoprirai, è un incastro di vite quello che ti aspetta. Il primo giorno soffri un po’. La barca “balla” e tu non sei abituato. Ma soprattutto non sai bene come comportarti con gli altri. Ti senti un pesce fuor d’acqua, è il caso di dirlo, tra accenti differenti, modi di dire che non conosci, risate di circostanza. E affronti il primo pranzo assieme con una certa ansia. Cerchi di non sfiorare nessuno, di non far cadere niente, di dire le cose giuste, misurando le parole. In fondo, non sai nulla di chi ti sta di fronte. Chi sono queste persone? Come la pensano sulla politica? Che studi avranno fatto? Io sono al loro livello e loro sono al mio? Cerchi di andare oltre lo sguardo di ognuno, oltre il filtro degli occhiali da sole. Cerchi di capire da un gesto, una posizione del corpo, che tipi hai di fronte. E sorridi. Mangi senza sfiorare nessuno. Il primo giorno. Poi, le cose cambiano. Le risate di circostanza diventano pian piano più rilassate. Gli sguardi più sinceri. I commenti più “veraci”. Passano le ore, i giorni, le notti. E il ghiaccio magicamente si scioglie. Già al terzo giorno conosci tutti abbastanza bene. Ti sei fatto un’idea di chi siano e di quali vite abbiano avuto. Con qualcuno, a bordo, hai creato un feeling speciale. Con altri un po’ meno. Ma senti che c’è un rispetto, che si è creato qualcosa. I racconti di ognuno delineano caratteri, persone, vite. Sono ancora degli sconosciuti, per te, in fondo. Ma senti un affetto vero per loro. Per le loro manie. E per i pregi. Il gruppo si è formato. Ora si ride e si mangia assieme. Ogni scusa è buona per fare un caffè, per raccontarsi una cosa. Sono diventati amici. E, quando all’ultimo giorno, ti accorgi che mangiate anche nello stesso piatto e con le stesse posate, capisci che hai rotto ogni argine. Che la barca ti ha cambiato. Che la gente che hai conosciuto, alle quali hai dato una possibilità, non ti è più estranea. Capisci che la gente, di suo, è buona. Forse non rivedrai più nessuno di questi amici. Ma lo sai che loro lo saranno sempre, amici. Non puoi che chiamare così chi ti ha dato qualcosa. E a cui anche tu hai dato qualcosa. E sai già che ti mancheranno. Anche se li conoscevi da poco. E ti ricorderai di loro più delle cose bellissime che hai visto, del mare, della natura, dei luoghi. La barca, quel guscio sul mare, sospeso tra acqua e vento, casa tua per 7 giorni, ti insegna che puoi fidarti. Che l’uomo è questo. Fatto per stare con altri. Fatto per costruire con altri. Fatto per dare ad altri la possibilità di capire e tramandare tutto questo. Fatto per condividere. Accade da millenni. Ma ogni tanto, purtroppo, l’uomo lo scorda.