(scritto da me per QuiCosenza.it).
Ricordate? Rosa era la nonnina che mi chiamò nella notte del mio compleanno. Non mi piace lasciare le storie a metà. E così ho insistito: ho chiamato spesso il suo numero telefonico.
Da qualche settimana, a dire il vero, non ci pensavo più. Ma oggi, tornato a casa, mi è improvvisamente tornata in mente. Forse ho visto qualcosa, in casa, che me l’ha ricordata. Che mi ha ricordato quella notte del 14 gennaio. La notte del mio compleanno. In cui lei, che aveva bisogno d’aiuto, fece un numero a caso. Era il mio numero. Io non capii subito cosa stesse accadendo, svegliato in piena notte. Pensai ad uno scherzo. Poi, però, ho capito che dall’altra parte del telefono, in un piccolo paesino del centro Italia (che non vi svelerò) c’era una persona, anziana, sola, che aveva bisogno d’aiuto. E così ci parlai. E lei mi raccontò di sé, di come aveva paura, di come pensava che non sarebbe riuscita ad arrivare al mattino, visto che non respirava bene. Di come avesse avuto solo la forza di fare un numero al telefono. Di come mi aveva trovato, per caso, in una notte di pensieri feroci. Per lei e anche per me. Per lei, la paura di morire. Per me, i pensieri di una notte che non era per nulla bella, visto che mi ero coricato agitato. E anche deluso. Della vita, del mio ennesimo compleanno, della routine di tante giornate di lavoro, di fatica. In quei momenti, di notte, da solo, avevo fatto il bilancio di una vita. E mi ero da poco addormentato, quando squillò il mio telefono. Sempre acceso. Per motivi di lavoro. Dissi una parolaccia, lo ammetto, quando sentii quello squillo. E pensai a qualche burlone dei miei amici, e già mi preparavo a dirgliene quattro, appena avessi risposto. Invece dall’altra parte c’era lei, Rosa. Con la quale subito creai un sottile filo. Sottile ma resistente. I miei problemi apparvero subito insignificanti, di fronte al terrore che avvertivo nella sua voce. Avvisai subito il 118 e dopo 20 minuti i soccorsi arrivarono da lei. La portarono in ospedale. Respirava a stento. Ma si salvò. In quella notte del 14 gennaio. Il giorno dopo contattai i carabinieri del suo paesino. Loro poi mi informarono di quanto era accaduto. Ne fui felice. E così, nei giorni a seguire, ho fatto più volte il suo numero. Per poter parlare con lei. Ma il telefono era sempre staccato. Fino a questa mattina. Oggi mi ha risposto la voce di un uomo. Suo figlio. Mi sono presentato. Lui era incredulo. Mi ha detto che proprio stamattina aveva acceso, per la prima volta, il telefono della madre. Come se io lo sapessi, ho chiamato proprio oggi, dopo tanti giorni. Il filo sottile esiste. Inspiegabile. Mi ha detto che aveva trovato tanti numeri sconosciuti. Forse tutti quelli da cui io ho provato a chiamare Rosa, senza successo. E mi ha ringraziato. Non ho avuto neanche il coraggio di dirgli che sono io a dover ringraziare sua madre. Per quel tuffo nell’umanità che mi ha donato in quella notte. Per avermi fatto sentire così utile. Per avermi aperto un mondo nuovo, in una notte che per me era triste e malinconica. Quella notte non dormii, è vero. Ma da lì è iniziato qualcosa di nuovo, per me. E io lo sento. Ho capito quanto, a volte, siamo superficiali. Quanto ci lamentiamo per cose, in fondo futili. Diamo importanza alla malinconia, alla nostalgia. Invece basta un bel respiro e tutto si può affrontare. Dando il giusto peso alle cose. Anche Rosa, che invece respirava a fatica, ha saputo, in fondo, affrontare le sue difficoltà. Chissà cosa sente, adesso, Rosa. Ora, come mi ha detto il figlio, si trova in una struttura per anziani. Ha bisogno di assistenza. Ha perso la memoria, non riconosce più tutti. Ma è viva. Il figlio va a trovarla, spesso. E non aveva saputo nulla di ciò che era accaduto quella notte. Era andato a casa sua e ha scoperto così che la madre era in ospedale. Gliel’ho raccontato io, di quella notte. “Le brave persone esistono ancora”, mi ha detto. Il più bel ringraziamento che potesse farmi. Una fiducia ritrovata nella gente, la sua. E sono fiero e orgoglioso di essere stato artefice di questo. Vorrei andare a trovarla, Rosa. Chissà. Magari ci riesco. Magari si ricorda di me. Sarebbe un altro bel regalo, per me.