(scritto da me per QuiCosenza.it, tratto da un servizio fatto per AGI con intervista realizzata per TV 2000)
Lo attendo per quasi due ore nella chiesa dove è vice parroco. Alla fine arriva, però, il parroco e mi dice che oggi don Ernesto non è a Roggiano Gravina, ma a Malvito. Prima una messa e poi un funerale. Pomeriggio libero. E allora devo raggiungerlo in fretta. Avevo già fatto più volte il suo numero, senza risposta. A Malvito, la chiesa madre è in cima al paese, di fianco al castello feudale. Una viuzza stretta mi fa penare per trovare un parcheggio. Arrivo mentre lui sta finendo di celebrare la Santa Messa. Rientra in sacrestia. Entro anch’io e mi presento. Il suo sorriso disarmante e sereno mi fa capire che non ho perso il mio tempo, in quella giornata fredda e umida. “Ho visto le telefonate, ma avevo la messa da celebrare. Ma avrei richiamato tra un po’, davvero”, mi dice don Ernesto. “Ti dispiace aspettarmi? Ho un funerale, dopo sarei più tranquillo…”. E come fai a dirgli di no. E così le mie ore di attesa diventano tre. Ma è per una buona causa, mi dico tra me e me. E se lui ha avuto la forza di cambiare vita, io potrò anche aspettare. In attesa del pranzo di Carnevale che ha preparato mia madre. E così mi faccio da parte. Osservandolo mentre si prepara alla cerimonia funebre. Legge il suo libro. Impartisce disposizioni ai chierici. Perchè tutto si svolga nel migliore dei modi. E così sarà. Finita la mesta celebrazione, lo raggiungo di nuovo in sacrestia. Usciamo da una porticina laterale, “per non turbare i parenti del defunto”, dice, “meglio se usciamo da qui, li lasciamo un po’ tranquilli, in chiesa”. E, finalmente, posso sentire il suo racconto. Di come, dopo quasi 18 anni in polizia, ha deciso di farsi prete. Lo è dall’11 febbraio scorso. Ordinato sacerdote dal Vescovo di San Marco Argentano-Scalea, mons. Leonardo Bonanno.
E’ stato assegnato, come vice parroco, alla chiesa di San Pietro Apostolo, nel centro di Roggiano Gravina. Don Ernesto, che è nato a pochi chilometri di distanza, a San Marco Argentano, ha sentito una chiamata alla quale non ha saputo resistere.“La mia avventura in polizia è iniziata nel ’99, primo corso a Campobasso e prima destinazione a Reggio Calabria. Poi diverse altre città e infine a Messina, fino alla fine dell’anno scorso”. Mi parla mentre il suo sguardo punta lontano, all’orizzonte. Come se stesse rivedendo il film delle fasi più importanti della sua giovane vita. Don Ernesto ha solo 38 anni. “In polizia ho avuto un’esperienza entusiasmante, che nasce dal desiderio di servire, in qualche modo, l’umanità. Poi, però, è andata così. Il Signore aveva dei progetti diversi, ma intanto ho iniziato col servirlo nel corpo della polizia, che tanto bene fa alla nostra società, così piena di emergenze sociali e manifestazioni del crimine organizzato”. E si apre, quasi come si confessasse. Lui. Con me! “Ero fidanzato, si parlava già di matrimonio. C’era un progetto che si stava iniziando a vedere all’orizzonte. Ma, evidentemente, avevo fatto i conti senza l’oste. Veramente, il Signore aveva già iniziato, lo posso dire col senno di poi, a parlare al mio cuore fin dall’età infantile e poi adolescenziale. E ha continuato a parlarmi interiormente, negli anni successivi al mio ingresso in polizia”. Da cronista impertinente, non riesco a trattenermi: e “lei” come l’ha presa? “La mia fidanzata l’ha presa molto bene, ma ci eravamo già allontanati prima che facessi un’adorazione eucaristica perpetua, a Scilla. E credo che lei lo sospettasse da sempre, non è stata proprio una sorpresa. La mia famiglia, mia madre, mia sorella… loro sono tutti molto felici”. “I miei parrocchiani mi hanno accolto con grande gioia ed affetto e lo hanno fatto anche, con mia sorpresa, tutti i miei colleghi, che mi hanno pure fatto indossare, goliardicamente, la divisa sull’abito sacerdotale”. Dalla chiesa parte il suono delle campane. Ci fermiamo qualche attimo. “Tu hai avuto coraggio, ma tanti, magari, vorrebbero fare questo passo e non ne hanno la forza”, gli dico io. E lui, con un mezzo sorriso, mi risponde così: “Ruberei le parole di San Giovanni Paolo II: non abbiate paura, aprite le porte a Cristo, che ha sempre in serbo qualcosa di straordinario per le nostre vite. E donare la vita a lui vuol dire essere felice, avere il cuore pieno. E vi assicuro che essere preti è bello e riempie il cuore di gioia. Non abbiate paura”. Ci scambiamo i numeri di telefono. Il bello del mio lavoro è anche questo. Incontrare persone speciali. Che scelgono di fare una vita normale. In un piccolo paese di provincia. Al servizio degli altri.